A volte mi sembra di essere ancora il ragazzino che con il suo Malaguti Phantom F12 andava a cercare una curva che gli regalasse l’emozione di una piega. Ma quando apro gli occhi e mi guardo allo specchio vedo un uomo di 36 anni (quasi) che ha realizzato il suo sogno di correre in moto e che tutti i giorni ringrazia il cielo e la terra per avergli donato una moglie e una figlia meravigliose.
Questo non vuol dire che io abbia capito ancora chi sono. Quando vado al lavoro nel mio ufficio preferito, il Mugello (ma anche Misano e Magione) mi metto i panni dell’istruttore; tutte le persone che richiedono il mio servizio sono appassionati sognatori che hanno ancora voglia di imparare. Ad andare in moto e non solo.
Il mio compito è quello di individuarne le caratteristiche e le loro abitudini in sella. Una volta conosciuti in borghese e con la tuta addosso cerco di sistemarli sulla moto per fargli affrontare ogni curva, frenata e rettilineo in maniera migliore, più sicuri, più veloci. Più contenti, forse anche uomini migliori. Non ho nessun potere nella vita degli altri, mi limito solo a far si che ogni motociclista tiri fuori il meglio di se. Vado a lavorare su quello che c’è, e che per qualche motivo fino a quel momento era rimasto inespresso.
Alla domanda che lavoro fai, mi piace rispondere: inseguo e mi faccio inseguire sul filo dei 250-300 km/h uomini e donne in sella alle loro moto, poi quando ci fermiamo gli spiego cosa potrebbero fare per farmi faticare di più. Un bel lavoro che mi da l’opportunità di conoscere tante persone che, in fin dei conti, mi aiutano anche a conoscere un po’ meglio me stesso.
La mia seconda attività è quella del pilota. Fantastico lavoro in circuito, pieno di gioie e dolori, di grandi pieghe e velocità da urlo. Peccato che, per il momento, passo più tempo a cercare il budget che sulla moto da corsa. Se è la cosa giusta arriverà anche il mio momento.
Tolto il vestito da istruttore e la tuta da pilota, mi capita anche di fare il tester. Quanta roba. A volte sono cosi confuso che nemmeno so come mi chiamo. Una vita movimentata e rumorosa. Ma devo ammettere che tutto questo non sarebbe così bello se non potessi tornare a casa e da mia figlia.
Da un anno e mezzo sono anche un padre. Ed è la gioia più bella di questo mondo. Mia figlia che mi chiama, che mi chiede di salire sulle mia braccia, le sue risate, le sue guancie, i suoi occhi. Puri. Quante notti insonni, quante preoccupazioni e paure, ma per nessuna ragione al mondo potrei rinunciare a lei. Essere padre mi ha fatto capire tante cose anche su mio padre e mia madre. Quante gliene ho fatte passare. Prova tangibile del significato di amore incondizionato.
Tutto questo per ammettere che non so ancora chi sono davvero, ma nel frattempo mi godo il cammino che mi porterà a scoprirlo.